La Sibilla Appenninica

Premessa:

Monti Sibillini, Leopardi li chiamava Azzurri

Fra Umbria e Marche, c’è tutto: un Parco Nazionale, cittadine ricche di storia e di arte, sentieri turistici, bellezze naturali e, naturalmente, notevoli tradizioni enogastronomiche.
E la Sibilla appenninica che abita questi luoghi... Esiliata. Per essersi ribellata a Dio. La superbia della Sibilla Cumana l’ha perduta, costringendola a spostare la sede ufficiale dal centro del Mediterraneo, cioè del mondo antico, a una sperduta vetta dell’Appennino marchigiano, il monte Sibilla, appunto.
Diventata Sibilla Appenninica, abitava qui, in un antro del monte. Vuole la leggenda che l’oracolo attirasse i cavalieri erranti che, dopo aver superato dure prove, potevano vivere con la Sibilla per un solo anno, per essere poi condannati alla dannazione eterna. (approfondimenti sulla Sibilla Appenninica a tergo)

Terra di leggende, di lupi e aquile reali
Nel Piceno, tra gli Appennini umbri e le colline che scendono all’Adriatico, i monti Sibillini sono un angolo di mistero. Al mito della Sibilla, infatti, si affianca quello di Pilato, che per secoli ha attirato maghi e seguaci dell’occulto. Secondo la tradizione popolare, nel lago sotto il monte Vettore, proprio il governatore romano della Palestina sarebbe stato annegato dal demonio. Poco lontano, poi, si trova la gola dell’Infernaccio nella quale ancora oggi aleggiano i ricordi di antichi riti negromantici. Eppoi ci sono i miti concreti del grande Giacomo da Recanati e di Guido Piovene. Se il primo dal suo colle rimirava in lontananza i monti azzurri, elevandoli a simbolo inafferrabile, il secondo, che girava l’Italia dei Cinquanta descrivendola, parlava di monti più leggendari dell’Italia centrale.
E si ritorna daccapo. Leggende, simboli o chimere che siano, i Sibillini sono monti speciali. E il Parco Nazionale sta lì a testimoniarlo. Nato nel 1993 per proteggere il ricco patrimonio naturalistico, il parco è un insieme di presidi naturalistici e di aree antropizzate. Nei settantamila ettari tutelati vivono il lupo, l’aquila reale, il falco pellegrino e numerose specie endemiche.
Abbazie e centri medioevali sono sparsi intorno ai Monti Azzurri. Una rete di sentieri copre il territorio del parco, tanto da formare itinerari con soste nei rifugi e costituire un’alta via appenninica di grande fascino.

Il "giro" dei Monti Azzurri
Ultimo nato il "Grande Anello dei Sibillini", un percorso circolare di circa centoventi chilometri che, in nove tappe, permette di vedere l’intera catena. Nove tappe e nove rifugi, che propongono prodotti tradizionali. Si parte da Visso (sede del Parco) e il percorso si snoda lungo le pendici del monte Careschio fino ai piani di Macereto, dove c’è il santuario del Bramante. Da qui si raggiunge Cupi passando per il profondo Fosso La Valle. Risalendo il versante sinistro di Costa Tranquilla si giunge nella valle di Campobonomo. Si risale al monte Coglia e si scende a Tribbio.
Altra tappa è quella che va nella valle del Piastrone, attraversando vallette e torrenti, con vedute del lago di Fiastra, del monte Fiegni e dell’Abbazia di S. Salvatore a Monastero. Poi c’è la valle del Tenna, con vedute sul Pizzo Tre Vescovi, sul monte Berro, sul monte Priora e sulle valli dell’Acquasanta e del Fargno. Si costeggia il versante orientale del monte Amandola, per scendere nella valle del fiume Ambro. Sia la dorsale del monte Priora, sia quella del Tenna sono caratterizzate da profondi canyon, come ad esempio la gola dell’Infernaccio. 
di Valerio Griffa


La “Sapientissima Sibilla” appenninica



La Sibilla Appenninica o Picena, conosciuta in Europa anche come Sibilla di Norcia, ha goduto in passato di molta considerazione e massima stima tanto da essere chiamata “Sapientissima Sibilla”.
Prevedeva il futuro ascoltando il fruscio dei rami della quercia, forse era un po’ celtica anche Lei, e i suoi vaticini furono richiesti, addirittura, dagli imperatori romani. Claudio II nel 268 consultò l’oracolo dell’Appennino sulla sua sorte e nella “Vita di Vitellio” Svetonio riporta “L’anno 271 morì Claudio conforme a quello che l’Oracolo dell’Appennino gli aveva risposto, che con ciò, fosse per caso o per congettura, incontrò a predire quel che avvenne”.
Non tutti però erano in grado di capire i responsi profetici della Sibilla e poteva capitare, come in effetti capitò ad un generale romano, di travisarne il significato. La Profetessa nel merito gli aveva “chiaramente” detto “IBIS REDIBIS NON MORIERIS IN BELLO” e lui, avendo capito “non morirai in guerra”, partì per la battaglia e morì. Non sapeva, il poveretto, che spostando una virgola il significato sarebbe stato “morirai in guerra”. 

Anche questa, come tutte le Sibille, viene sempre raffigurata con un libro in mano perché all’epoca, in mezzo a tanta ignoranza, Lei sapeva leggere e scrivere. Alcuni suoi scritti, i famosi “Libri Sibillini”, sono conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Nel corso dei tempi la nostra Sibilla è stata maltrattata, onorata, offesa, tradita e amata tanto che oggi non si sa più che tipo di donna era. Alcuni dicono che era vergine, altri che era l’amante di tutti i sacerdoti, molti scrivono che era una brava donna altri invece affermano che era incantatrice, ammaliatrice e per di più demoniaca.
Persiste tuttora una totale confusione circa questa figura che si può spiegare solo in un modo: hanno tentato di eliminarla perché non era più presentabile, forse perché era diventata la Regina della Fate. Altre Sibille, però, sono stante dipinte, all’interno delle chiese, a fianco dei profeti. 
La nostra no, chissà perché?
Hanno fatto di tutto per farla sembrare cattiva e peccatrice ma non ci sono riusciti. Sui monti c’è sempre la sua casa, “la Grotta delle Fate e della Sibilla”, che ancora adesso attende di essere esplorata.
La Sibilla Appenninica, anche nel terzo millennio, è sempre la “Sapientissima Sibilla”, una brava donna detentrice della conoscenza, che impara l’astronomia, la medicina, la tessitura, il ballo e la musica alle brave e laboriose fanciulle sibilline.
Giuseppe Matteucci
(Associazione Culturale “La Cerqua Sacra”)

La Sibilla Appenninica
« là, sovra i gioghi dell'Appennin selvaggio,
fra l'erte rupi una caverna appar:
vegliano le sirene quel faraggio,
fremono i canti e fanno delirar. »
(Giulio Aristide Sartorio, nel suo poema drammatico Sibilla, 1922)


« ... è vicino la larga, orrenda e spaventevole spelunca nominata caverna della Sibilla: de la quale è volgata fama (anzi pazzesca favola) essere quivi l'entrata per passare alla Sibilla, che dimora in un bel Reame, ornato di grandi e magnifici palagi, habitati da molti popoli pigliando amorosi piaceri né detti palaggi et giardini con vaghe damigelle... »

(Leandro degli Alberti, Descrittiione di tutta l'Italia, 1550)

« ... Se a voi e alla mia reverentissima dama di Calabria, vostra compagna, facesse piacere di andarci a piedi...la detta Regina Sibilla e tutte le sue dame vi festeggerebbero con grande gioia, e, inoltre, acquistereste un così grande merito e una così grande indulgenza, che vi metterebbe vestite in paradiso. Lassù potreste incidere le vostre piume e violette, nonché i nomi e le insegne di coloro che saranno in vostra compagnia. »

(Antoine de La Sale, Paradiso della Regina Sibilla, 1420)
La Sibilla Appenninica, detta anche Sibilla Picena, non rientra tra le dieci Sibille dell'epoca classica riportate da Marco Terenzio Varrone, nonostante le prime fonti su questa figura risalgano all'inizio dell'era imperiale.

Un primo riferimento storico riconducibile alla Sibilla Appenninica si trova nella Storia dei Cesari di Svetonio, che, a proposito di Vitellio, accenna ad una veglia negli Appennini tenuta prima del suo ingresso a Roma nel 69[1]:
(LA)
« In Appennini quidem iugis etiam pervigilium egit »
(IT)
« Sulla sommità dell'Appennino si fece anche una veglia »

Anche Trebellio Pollione nella sua Storia Augusta riporta un episodio relativo a Claudio il Gotico, che, nel 268, consultò sul suo futuro un oracolo negli Appennini:[2]
(LA)
« Item cum Appennino de se consuleret, responsum huius modi accepit »
(IT)
« Analogamente, quando negli Appennini chiese del suo futuro, ricevette il seguente responso »

Con l'avvento del Cristianesimo, l'origine pagana della Sibilla ne provocò un'interpretazione demoniaca, che è evidente nel romanzo cavalleresco Il Guerrin Meschino, scritto da Andrea da Barberino.
In questo racconto, ambientato nell'anno 824, un cavaliere si reca presso la Grotta della Sibilla, sui monti Sibillini, per conoscere l'identità dei suoi genitori, ma la Sibilla lo trattiene tentandolo a peccare e rinnegare Dio.
Questa interpretazione infernale è progressivamente incupita nelle successive versioni del romanzo, stese nel periodo dell'inquisizione (come quella del 1785 pubblicata a Venezia), nelle quali la figura della Sibilla è addirittura sostituita da quella della Maga Alcina.
La fama della Sibilla era tale che Agnese di Borgogna inviò Antoine de La Sale a visitare la sua grotta il 18 maggio 1420.

Da questa visita nasce Il Paradiso della Regina Sibilla, il diario di viaggio nel quale riporta disegni particolareggiati e descrizioni della grotta.

Sulla più antica trama della leggenda della Sibilla Appenninica, a cui si erano ispirati sia Andrea da BarberinoAntoine de La Sale nel XV secolo, nacque in Germania, sin dalla fine del trecento, la leggenda del valoroso cavaliere Tannhäuser che si reca a Monte Sibilla, chiamato Venusberg, (Monte di Venere) e dopo essere stato per un anno tra le braccia di Frau Venus, da cui il nome Frau Venus Berg per la grotta, si reca dal Papa Urbano IV per avere l’assoluzione dai suoi peccati. Non la otterrà e ritornerà fra le braccia della sua tanto amata Venere. Il finale nella rielaborazione tedesca della leggenda s’inverte rispetto a quello del Guerrino e il Papa sarà condannato per l’eternità. È alla variante Tedesca della leggenda della Sibilla Appenninica e particolarmente all’eros trionfante nel finale che si ispirò Wagner per il suo Tannhäuser.  [3]

Secondo la tradizione locale, la Sibilla è una fata buona, veggente ed incantatrice, ma non perfida o demoniaca circondata dalle sue ancelle che scendono a valle per insegnare a filare e tessere le lane alle fanciulle del posto.

Simile a questa è la tradizione per la quale le fate sarebbero donne bellissime con piedi caprini, che di notte frequentano le feste ed i balli dei paesi, ma devono ritirarsi sui monti prima dell'alba: alla fuga precipitosa da una di queste feste nella quale si erano attardate, la leggenda fa risalire la Strada delle Fate, una faglia a 2000 metri sul Monte Vettore.
Altra leggenda è quella che vede la regina Sibilla e le sue fate come donne bellissime, ma che si trasformano ad ogni fine settimana in serpenti, che nella tradizione celtica è simbolo di fertilità e guarigione, per il fenomeno della muta della pelle di questi animali.

Sempre secondo la tradizione locale, fu la Sibilla a scaraventare sull'antico paese di Colfiorito una pioggia di pietre per punire gli abitanti per la loro mancanza di rispetto nei confronti delle sue fate. Gli abitanti abbandonarono questa località, ma successivamente un popolo nomade rifondò il nuovo paese di Pretare, stringendo legami di forte amicizia con le fate stesse.

Dipinto della Sibilla Appenninica nel Salone de Carolis 


Sibilla Appenninica di Adolfo De Carolis, dipinto del riquadro di destra
L'immagine della Sibilla Appenninica è stata dipinta, con la tecnica della tempera disciolta nella cascina e ritocchi ad olio da Adolfo De Carolis, tra il 1907 ed il 1908, nel ciclo decorativo del salone di rappresentanza del Palazzo del Governo di Ascoli Piceno, oggi sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale.
Sulla parete sud, che l'artista dedicò alla montagna, illustrò scene allegoriche legate alla vita quotidiana del mondo della pastorizia ed alla realtà contadina del Piceno.
Le rappresentazioni si susseguono all'interno di una fascia suddivisa in tre riquadri ai cui lati il pittore scrisse «ad agris et silvis» «nei campi e nei boschi».
Al di sopra della figura della Sibilla, all'interno di una tonda cornice contenuta nella lunetta, la frase: «NE CEDE MALIS AUDENTIOR ITO» «va avanti con maggior coraggio e non cedere alle avversità». Questo motto è lo stesso che la Sibilla Cumana suggerisce ad Enea nell'Eneide di Virgilio (libro VI v.95).
Il de Carolis, al centro della parete, ai piedi di un innevato monte Vettore, con maestà michelangiolesca ed in atteggiamento molto somigliante alle Sibille della Cappella Sistina, ritrasse la Sibilla Picena, seduta e pensosa, tra due donne che versano acqua da anfore. Le due donne rappresentano le personificazioni dei fiumi, simbolo di fertilità, individuabili nel Tronto ed il Tesino oppure nell'Aso ed il Tenna.
Sulle lesene dipinte, che fiancheggiano la figura della Sibilla, compaiono due donne guerriere che impersonano le città di Ascoli e di Fermo. La raffigurazione di sinistra reca in mano una piccola rappresentazione della città ascolana, così come compare nello stemma comunale, con la porta a due fornici sovrastata dalla galleria tra due torri, e nell'altra mano un ramo di quercia.


Sibilla Appenninica di Adolfo De Carolis, dipinto del riquadro di sinistra
La figura femminile di destra è la rappresentazione della città di Fermo. Dal nastro che sorregge si legge «FIRMO FIRMAM FIDES» «la città di Fermo dalla ferma fede», come dal motto comunale fermano.
L'intero tema centrale è contornato da due riquadri dal cui fondo blu si distinguono le immagini di personaggi intenti al lavoro quotidiano dell'agricoltura. Quello di sinistra propone due buoi che conducono un rustico carro marchigiano decorato e giovani fanciulle, vestite con lunghe gonne dai colori vivaci, affaccendate a trasportare ceste ricolme di frutta. Una di esse indossa una collana di corallo quale dono di nozze del mondo contadino, un'altra reca in mano una falce. Scena campestre che il de Carolis conclude con un fondo dedicato alla vendemmia dipingendo un grosso tino nel quale svuotare le ceste d'uva ed un contadino che mescola il mosto.
Nel riquadro di destra la scena è dedicata alla pastorizia con un piccolo gregge al pascolo e pastori che si appoggiano sui loro bastoni. Le presenze femminili, dedite al trasporto di fascine di legna, sono anche qui rappresentate con abiti dalle vivide cromie. Sullo sfondo si intravede una giovane tessitrice forse dipinta come probabile riferimento alla leggenda ascolana di Polisia.

Le fate dei monti Sibillini 

Sono fate la cui storia è indissolubilmente legata alle tradizioni leggendarie e popolari che si originano dalla presenza dell'oracolo della Sibilla Appenninica. Di loro non si ritrovano tracce nei racconti e nei miti del contado ascolano, ma soltanto nelle narrazioni tramandate delle zone di montagna comprese tra il massiccio del Vettore e monte Sibilla. Esse appartenevano alla corte della Sibilla Appenninica e con questa dimoravano stabilmente all'interno della sua grotta.

Sui monti Sibillini ci sono molti luoghi segnati dal passaggio e dalla leggenda lasciata dalle fate, infatti, oltre alla grotta della Sibilla, ci sono: le “fonti delle fate”, i “sentieri delle fate” e la "strada delle fate".
Queste affascinanti creature si muovevano tra il lago di Pilato, dove secondo la tradizione si recavano per il pediluvio, ed i paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo ed il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, dove ancora oggi una rappresentazione detta “la discesa delle fate” custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste creature.

Uscivano prevalentemente di notte e dovevano ritirarsi in montagna prima del sorgere delle luci dell'aurora per non essere escluse dall'appartenere al regno incantato della Sibilla.
Secondo le tradizioni locali le fate sibilline, ancelle della Sibilla, si recavano a valle per insegnare alle giovani la filatura la tessitura delle lane. Renzo Roiati individua in quest'incarico “le tria fata”.

Sono descritte come giovani donne di bell'aspetto, vestite con caste gonne da cui spuntavano zampe di capra e che il calpestio dei loro passi ricordava il rumore degli zoccoli degli animali sulle pietraie dei monti. Questa caratteristica del piede caprino è diffusa nei racconti di tutta la zona dei Sibillini, forse considerando che nell'immaginario popolare un piede siffatto avrebbe anche offerto una migliore presa sulle scoscese e ghiaiose pareti e che potesse meglio rappresentare una correlazione di queste figure a quella del diavolo, da considerare anche che le pelli di capra erano utilizzate per ripararsi dal freddo.

Secondo Mario Polia le fate appenniniche erano avvezze alle asperità della montagna e non sono da considerarsi come figure assimilabili alle creature leggiadre delle tradizioni celtiche, alle donne-elfo della tradizione germanica fatte di luce solare, alle fate delle fiabe che ballano nelle radure dei boschi o alle figure minori delle ninfe greche.

Le fate sibilline amavano danzare nelle notti di plenilunio e, appropriandosi segretamente dei cavalli dei residenti, raggiungevano i paesi vicini la loro grotta per ballare con i giovani pastori. Sempre secondo questi ricordi si attribuisce alle fate l'aver introdotto il "saltarello".

A Montefortino, in località “Rubbiano”, che nel dialetto locale si individua col nome "lu Fià", da intendersi come "sub Jà" cioè: sub Jano, sotto il tempio del dio Giano, vicino alle Gole dell'Infernaccio, c'è un appezzamento di terreno che, in ricordo di questi balli, in dialetto “valli”, ancora oggi si chiama “Valleria”.
Secondo la leggenda, dopo essere uscite dalla loro grotta, le fate si fermavano presso una stalla per impadronirsi degli equini ed utilizzarli per rapidi spostamenti. Il proprietario dei cavalli insospettito dal ritrovare al mattino le bestie sudate ed affaticate, nonostante la fresca temperatura del ricovero, si appostò per capire cosa succedesse durante la sua assenza e scoprì che erano proprio le fate a servirsi dei suoi animali.

Anche in alcuni detti popolari sopravvive il ricordo di queste misteriose creature quando si dice: “ Quanto sono belle queste fate, però jè scrocchieno li piedi come le capre.” L'antropologo religioso Polia riporta questa frase a conclusione di un racconto in cui descrive l'avvenenza di queste donne ed il desiderio degli uomini di riaccompagnarle presso la loro dimora.

Da questa abitudine delle fate di avere contatti con il mondo che le circondava nasce anche il tema del mito dell'amore che le legava agli uomini. Quest'ultimi, una volta entrati in contatto con loro, sarebbero stati sottratti al loro mondo, abbandonando così la sorte di semplici mortali, ed investiti di una sorta di immortalità virtuale che li avrebbe lasciati in vita fino alla fine del mondo, così come succedeva alle fate, ma costretti a vivere nel sotterraneo regno di Alcina.

Cesare Catà, in un suo recente intervento, traccia un parallelismo tra le leggende della Sibilla appenninica, del Tannhäuser germanico e del mito celtico di Oisìn, individuando quello che Lévi-Strauss definisce "mitema".[4]L'accostamento tra la tradizione celtica e la cultura dei Monti Sibillini apre a suggestive prospettive filosofiche nella disamina della leggendaria tradizione popolare relativa alla Grotta fatata. Sono infatti numerose le similarità tra le "fairies" celtiche e le fate sibilline (così come tra i folletti irlandesi, chiamati "Leprechauns" e i folletti dei Monti Sibillini, detti nella lingua locale "Mazzamurelli"). Come nella cultura celtica, anche in ambiente sibillino le figure delle fate e dei folletti presero forma nell'incontro sincretico tra culti pagani e tradizione cristiana.[5]

Alcuni sostengono che le fate ci siano ancora adesso sui monti Sibillini e a riscontro di questa convinzione adducono fantasiose prove:
  • le “treccioline” delle criniere delle cavalle. A volte gli animali condotti liberi al pascolo sui monti tornano con la criniera pettinata a treccioline ed i valligiani sostengono che le artefici sarebbero le fate;
  • le luci random, fenomeno osservato in prevalenza nella zona di Santa Maria in Pantano, a Colle di Montegallo, quando, dopo il tramonto, sulle montagne si vedono delle luci che si muovono come se fossero delle persone, individuate come le fate che risalgono i pendii.
Le fate sibilline furono demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati e costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna e costrette ad entrare a far parte del mondo invisibile. Sempre secondo la ricerca di Polia gli abitanti delle zone imputano la scomparsa delle fate ad una sorta di “scomunica” inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le loro parti caprine. Con la fine del mondo antico e dopo la morte di Pan, da creature del mito pagano appartennero al corteggio del diavolo.

Note

  1. ^ De vita Caesarum
  2. ^ Historia Augusta
  3. ^ Sulle concordanze musicologiche e letterarie fra la leggenda italiana della Sibilla Appenninica e il Tannhäuser di Wagner si veda Markus Engelhardt (Direttore del Dipartimento Musicologico dell'Istituto Storico Germanico di Roma): Dal Monte Sibillino al Venusberg nel Tannhäuser di Wagner pag 57-67 in Le terre della Sibilla Appenninica, Antico crocevia di idee scienze e cultura, Atti del Convegno di Ascoli Piceno-Montemonaco 6-9 Novembre 1998, a cura del Progetto Elissa, Progetto Elissa, 1999
  4. ^ C. Catà, Il retroterra “celtico” di Andrea da Barberino. Significati storico-filosofici del mitema dell’incontro tra il Cavaliere e la Fata-Sibilla, in S. Papetti (a cura di), Atti del Convegno “Corrado Giaquinto tra Fortunato Duranti e la Sibilla” ,Montefortino, 18-24 settembre 2009
  5. ^ "Per molti versi la cultura dei Monti della Sibilla, che risulta protagonista del sapere connesso alla phantasia tra Medioevo e Rinascimento, presenta tratti accostabili a quelli della cultura celtica irlandese che prese forma soprattutto nell'Occidente dell'Isola, dove, come nei Monti della Sibilla, vennero a incontrarsi, attorno alla montagna del Ben Bulben, culture pagane e Cristianesimo, dando vita a una vasta e formidabile schiera di leggende fiabesche popolari." In: Cesare Catà, I monti della Sibilla nella Marca. URL consultato il 16-04-2010.
La Grotta della Sibilla, detta anche grotta delle fate, è una caverna ricavata nella roccia e raggiungibile solo a piedi. Si trova a 2150 m s.l.m., nei pressi della vetta del Monte Sibilla che appartiene alla Catena dei Monti Sibillini.

La grotta deve il suo nome alla leggenda della Sibilla Appenninica, secondo la quale essa non era altro che il punto d'accesso al regno sotterraneo della Regina Sibilla.
Andrea da Barberino, con il suo romanzo cavalleresco Il Guerrin Meschino, contribuì alla divulgazione della leggenda. Ci racconta la storia di un cavaliere errante che si recò dalla Sibilla per ritrovare i suoi genitori. Per un anno, soggiornò nella grotta e resistette, con tutte le proprie forze, alle tentazioni invocando il nome di Gesù Nazareno.

Disegno di Antoine de La Sale dal Paradis de la Reine Sybille 1420
Numerosi filologi ritengono anche che quella della Sibilla Appenninica sia stata la fonte principale di un'altra celebre leggenda, quella tedesca del Tannhäuser, la quale in effetti presenta innumerevoli analogie con la storia del Guerin Meschino.
Il complesso ipogeo viene descritto, sulla scorta dei racconti popolari raccolti sul posto, per la prima volta nel 1420, dal francese Antoine de La Sale che si reca alla grotta su ordine della Duchessa Agnese di Borgogna. Egli però a causa delle frane già avvenute nell'alto medioevo all'interno della grotta, può disegnarne (con rara precisione) soltanto la pianta topografica del vestibolo dell'antro ancora conservato intatto. Questo importante documento è conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Si tratta di un ampio spazio circolare, con dei sedili di pietra scavati tutt'intorno nella roccia "intalieux tout entour".
Una più recente e senz'altro affidabile descrizione, la quale tuttavia non si discosta di molto da quella del de La Sale, è fornita a metà XX secolo dal Lippi-Boncambi: lo studioso fu uno degli ultimi visitatori della grotta prima che l'ingresso crollasse definitivamente a seguito di un utilizzo scellerato di esplosivi che, invece di contribuire ad aprirla ulteriormente, ne causò la chiusura forse definitiva.

Cronologia storica delle visite alla Grotta della Sibilla Appenninica

69 a.C. - La prima notizia si ha con Svetonio quando dice che Vitellio "celebrò una sacra veglia sui gioghi dell'Appennino".
268 d.C. - Trebellio Pollione in Scriptores Historiae Augustae racconta che Claudio II il Gotico si affidò in quell'anno ai responsi dell'oracolo della Sibilla Appenninica.
1320-1340 - Frane all'interno della Grotta causate anche dal terremoto del 1328 e chiusura dell'Antro per azioni politico-religiose messe in luce dallo storico Falzetti (lotte fra guelfi e ghibellini di Umbria e Marche, fra eretici e domenicani; bolle ed editti della Chiesa per contrastare le eresie di Templari, Alchimisti, Spirituali, Catari, Patarini ecc. che avevano trovato rifugio nelle terre della Sibilla). Alla data del 1338 si fa risalire la visita del cavaliere tedesco Her Hans Van Bamborg come dichiara Antoine de La Sale nel suo Paradiso della Regina Sibilla (diario autoptico).
1420-1450 - Antoine de La Sale visita in due tempi successivi la grotta, riportando nel suo diario, dedicato alla Duchessa Agnese di Bourbon-Bourgogne che lo aveva inviato nelle terre della Sibilla, la descrizione minuziosa della morfologia dei luoghi e del vestibolo della Grotta.
1452 - In una pergamena (N°40) ritrovata nell'Archivio storico del Comune di Montemonaco è stigmatizzata la frequentazione di Montemonaco, del Lago della Sibilla (così chiamato nella sentenza dal Giudice della Marca Anconitana) e della grotta sibillina da parte di cavalieri che arrivavano dalla Spagna e dal Regno di Napoli per praticare l'Alchimia e consacrare libri magici "ad lacum Sibyllae" (di li a poco diventerà Lago di Pilato). Viene scomunicata e poi assolta in un processo tutta la popolazione e le autorità del Comune di Montemonaco per aver aiutato i cavalieri stranieri a raggiungere il Lago della Sibilla e la Grotta.
1578 - Emblematica data incisa sulla roccia vicino al vestibolo crollato e ancor oggi visibile. La data che si legge senza troppe difficoltà ancor oggi è 1378, ma in realtà è una trasformazione fatta nel XVII-XVIII sec. del cinque, scritto in cifra araba, in tre. Con la trasformazione operata qualcuno ha voluto probabilmente collegarla alla data di nascita (1378) del mitico Christian Rosenkreuz, ad indicare, come è stato ipotizzato anche recentemente, la presenza dei Rosa Croce nelle terre della Sibilla e il loro ideale collegamento con la mitica Grotta. Rose+croci scolpite su architravi di finestre e portali in pietra, si trovano riprodotte fino a tutto il XVII sec. in numerose frazioni di tutta la cintura sibillina.
1610-1612 - Martino Bonfini affresca nel Santuario della Madonna dell'Ambro, un ciclo di dodici Sibille fra cui una Chimica o Alchemica.
1870 - Esplorazione speleologica alla Grotta della Sibilla, senza significativi esiti, dei fratelli nursini Caponecchi, detti i Vezzanesi.
1885 - G.B. Miliani, precursore della moderna speleologia, esplora il vestibolo della Grotta e il piano di campagna circostante al fine di trovare l'ingresso oltre il vestibolo.
1889 - In occasione del XXI Congresso degli Alpinisti Italiani, tenutosi ad Ascoli Piceno, la Sezione Picena del Club Alpino Italiano effettua lavori di manutenzione e ripulitura della grotta; il 3 Settembre alla presenza di numerosi congressiti saliti alla vetta della Sibilla, viene scoperta un targa commemorativa dell'evento dettata dall'ing. Vermiglio Vermigli. La lapide rimane visibile in loco fino alla fine degli anni quaranta del secolo scorso.
1897 - È la volta degli intellettuali Pio Rajna e Gaston Paris, che risalgono più volte alla Grotta. Incontrano più volte gli amministratori marchigiani per sensibilizzarli al recupero della Grotta.
1920 - Una spedizione all'ingresso della Grotta, guidata dallo storico Falzetti, crede di individuare una prosecuzione oltre il vestibolo della grotta. Gente del posto, sulla scorta della notizia, che aveva fatto un certo scalpore, tenta maldestramente di penetrare nella grotta producendo solo danni.
1926 - Il Dott. Moretti, Soprindentente Archeologico delle Marche fornisce i primi dati tecnico-scientifici sulle condizioni in cui versa la Grotta dichiarando che "La cavità, che attraverso una singolare fenditura aperta tra i filoni obliqui di roccia non ha più di otto metri di lunghezza, quattro di larghezza e tre di altezza, non ha più accesso alle sale o agli ambulacri o alle voragini interne. Vuoto è rimasto solo il vestibolo da cui un foro lascia supporre che siano esistite o ancora esistono, se non le aule che la leggenda aveva mutuate nel Paradiso della Regina Sibilla almeno altre cavità a cui la presente sia di vestibolo."
1929-1930 - Il filologo belga Fernand Desonay si reca alla Grotta. Nello stesso tempo anche il Falsetti tenta una nuova spedizione senza esito.
1946 - Il poeta e scrittore Tullio Colsalvatico, si cimenta, senza aiuti, in una esplorazione subito fermata dalla Soprintendenza per il timore che usi dell'esplosivo per penetrare all'interno della Grotta. Contemporaneamente il geologo Lippi Boncampi in uno studio sul carsimo nei Monti Sibillini, elabora la prima relazione ufficiale sullo sviluppo ipogeo della grotta della Sibilla corredandola con elaborati tecnici, (topografie, sezioni, planimetrie).
1952 - Con l'intento di valorizzare turisticamente il territorio il Generale Emidio Santanché, rabdomante e presidente dell'Ente del Turismo di Ascoli Piceno, risale alla Grotta sperando d'individuare (senza alcun esito) l'ingresso oltre il vestibolo della Grotta.
1953 - Con larghezza di mezzi (braccia umane) il Soprintendente ai Beni Archeologici Annibali s'impegna in un tentativo sistematico di scavo. Ma senza supporti tecnicamente adeguati aggiunge danno al danno.
1953-1968 - È in questo lasso di tempo che crolla definitivamente il vestibolo della grotta e vengono trafugate le ultime targhe di pietra, incise con strane iscrizioni, ancora collocate all'ingresso del vestibolo.
1968 - È l'anno della prima campagna di studi fatta con moderne apparecchiature, per rilevamenti geoelettrici, condotta dal geologo pesarese Odescalchi incaricato dall'Ente del Turismo di Ascoli Piceno. L'Odescalchi riece a cogliere alcune anomalie probabilmente riferibili all'esistenza di un cunicolo oltre il vestibolo della Grotta.
1983-1984 - Giuseppe Antonini del Gruppo Speleologico Marchigiano di Ancona, è incaricato dalla Regione Marche di ricercare il cunicolo discendente oltre il vestibolo, segnalato dall'Odescalchi, attraverso indagini, sia sul piano di campagna oltre la cosiddetta Corona che circonda la sommità di Monte Sibilla e ricomprende la Grotta sia espoplorando la Corona stessa. Purtroppo il tempo inclemente e la precarietà delle condizioni in cui lavoravano, obbligarono il Gruppo Speleologico Marchigiano a rinunciare all'impresa.
1997-2000 - Il Progetto culturale "Elissa" di Montemonaco coordinato dalla dott.sa Anna Maria Piscitelli e presieduto dal Prof. Paolo Aldo Rossi dell'Università di Genova, da il via ad un progetto scientifico sulla Sibilla Appenninica e la sua grotta. Nel 1998-99-2000 vengono realizzati tre Convegni e diverse Tavole Rotonde (con la fattiva partecipazione del Prof Gino Troli Assessore alla Cultura della Regione Marche), a cui partecipano studiosi di fama nazionale e internazionale, per raccogliere in un corpus sia i dati storici, letterari e antropologici del mito, sia quelli scientifici delle indagini fin qui condotte alla Grotta e con lo scopo ulteriore di promuovere indagini geologiche e geofisiche che confermino l'esistenza del Complesso ipogeo della Grotta.
2000- In Autunno il Comitato Promotore "Grotta della Sibilla appenninica", col patrocinio della Soprintendenza Archeologica delle Marche (rappresentata in loco dalla dott.sa Nora Lucentini responsabile per la Provincia Picena), con l'attiva partecipazione del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Camerino rappresentato dal Prof. Gilberto Pambianchi e coadiuvato dal Dott. Angelo Beano, col finanziamento dei soci e della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, promuove le indagini geologiche e geofisiche al sito "Grotta della Sibilla". La relazione scientifica elaborata dal Prof. Pambianchi e dal Dott. Beano è conservata agli atti del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Camerino. Dagli esiti delle prospezioni georadar si conferma l'esistenza di un vasto complesso ipogeo alla profondità di 15 metri sotto il piano di campagna, fatto di cunicoli labirintici, notevoli cavità e della lunghezza di circa 150 m. La sintesi degli studi è pubblicata negli atti del Convegno (organizzato dal Progetto Elissa) "Sibilla Sciamana della montagna e la grotta appenninica". La successiva fase d'indagine, che avrebbe previsto il carotaggio non invasivo nei punti ritenuti più significativi del piano di campagna prospiciente il vestibolo crollato, fu interrotta.

Bibliografia

* Antonio Rodilossi, Ascoli Piceno città d'arte, "Stampa & Stampa" Gruppo Euroarte Gattei, Grafiche STIG, Modena, 1983, pp. 121;
* Le terre della Sibilla Appenninica, Antico crocevia di idee scienze e cultura, Atti del Convegno di Ascoli Piceno-Montemonaco 6-9 Novembre 1998, a cura del Progetto Elissa, Progetto Elissa, 1999;
* Adele Anna Amadio e Stefano Papetti (a cura di), "Adolfo de Carolis - Il salone delle feste del Palazzo del Governo di Ascoli Piceno", Fast Edit, Ascoli Piceno, dicembre 2001;
* Mario Polia, "Tra Sant'Emidio e la Sibilla. Forme del sacro e del magico nella religiosità popolare ascolana" Arnaldo Forni Editori, Bologna, 2004, pp. 228 - 231;
* Renzo Roiati, "La Sibilla Appenninica e le nove stelle maggiori della vergine", Edizioni Lìbrati, Tipografia Fast Edit di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno), luglio 2006, pp: 77 - 82;
* "Saggia sibilla, quant'ornata, bella" di Cristina Marziali in "Adolfo de Carolis e la democrazia del bello", catalogo della mostra del Polo Museale di Montefiore dell'Aso 13 dicembre 2008-3 maggio 2009 a cura di Tiziana Maffei. Edizione Librati, Ascoli Piceno, 2009;
* Cesare Catà, Il retroterra “celtico” di Andrea da Barberino. Significati storico-filosofici del mitema dell’incontro tra il Cavaliere e la Fata-Sibilla, in S. Papetti (a cura di), Atti del Convegno “Corrado Giaquinto tra Fortunato Duranti e la Sibilla”, Montefortino, 2010, pp. 63-81;
  • Augusto Vittori, Montemonaco nel Regno della Sibilla Appenninica, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1938
  • Antoine de La Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla, Millefiorini, Norcia, 1963
  • Luigi Paulucci, La Sibilla Appenninica, Leo Olschki, Firenze, 1967
  • Joice Lussu, Il libro perogno, Il lavoro editoriale, Ancona, 1982
  • Giuseppe Santarelli, Le leggende dei Monti Sibillini, Montefortino, 1988
  • AA.VV., Sibilla Appenninica - I volti di pietra della Matriarchia, Progetto Elissa, Montemonaco, 1997
  • Sibille e linguaggi oracolari a cura di Ileana Chirassi Colombo e Tullio Seppilli, Atti del Convegno-Università degli studi di Macerata, Istituti Editoriali e Poligrafici internazionali, Pisa-Roma, 1998
  • Mons. Giuseppe Ghilarducci, Sulle tracce della Sibilla - Un documento del XV sec., Progetto Elissa, Montemonaco, 1998
  • Le terre della Sibilla Appenninica, Antico crocevia di idee scienze e cultura, Atti del Convegno di Ascoli Piceno-Montemonaco 6-9 novembre 1998, a cura del Progetto Elissa, Progetto Elissa, 1999
  • Anna Maria Piscitelli, Antoine De La Sale - Viaggio nei misteri della Sibilla, Montemonaco(AP), Progetto Elissa, 1999
  • Errante Erotica, Eretica, l'icona Sibillina fra Cecco d'Ascoli e Osvaldo Licini, Atti del Convegno di Ascoli Piceno-Montemonaco 29-31 ottobre 1999, a cura del Progetto Elissa, Progetto Elissa, 2000
  • Sibilla Sciamana della montagna e la Grotta Appenninica, Atti del Convegno di Amandola-Camerino 2-3 dicembre 2000, a cura del Progetto Elissa, Progetto Elissa 2001
  • Cesare Catà, Il retroterra “celtico” di Andrea da Barberino. Significati storico-filosofici del mitema dell’incontro tra il Cavaliere e la Fata-Sibilla, in S. Papetti (a cura di), Atti del Convegno “Corrado Giaquinto tra Fortunato Duranti e la Sibilla”, Montefortino, 2010, pp. 63–81.

La Sibilla Appenninica e la Cerqua Sacra

La questione della Sibilla Appenninica, e il vasto intreccio di tematiche ad essa correlabili, sono argomenti di grande importanza storica, etnica e antropologica. Attraverso la Sibilla, è possibile evidenziare quel filo conduttore misterico che accomuna le antiche culture italiche (celtiche, etrusche, romane) allo gnosticismo (spesso eretico) ed al mistericismo del cristianesimo occidentale.
Quando si parla di ricerche sulla Sibilla, ad oggi, non si può non ricordare chi di queste ricerche ha fatto una questione di identità culturale. Come è il caso de L'Associazione culturale La Cerqua Sacra.

"La Cerqua Sacra" ha per scopo l'identificazione e la valorizzazione della specificità culturale dell’area posta sul versante ascolano dei Monti Sibillini, con particolare riguardo alle ricerche sulle  radici etniche e linguistiche della popolazione, sull'origine delle leggende e delle tradizioni popolari (legate ad esempio alle fate), sulla collocazione storica dei luoghi. L'Associazione si propone quindi di promuovere iniziative volte alla realizzazione degli scopi prefissati, quali la formazione di una "Biblioteca Sibillina", conferenze, convegni e pubblicazioni su temi attinenti comunque all'area geografico-culturale come sopra delimitata ed altro.

Sulla pagina web de La Cerqua Sacra potrete trovare molti materiali letterari e iconografici interessanti, l'elenco libri della biblioteca dedicata ai testi sibillini, varie informazioni su Cecco d'Ascoli (l'eretico che frequentò i Sibillini e che morì a Firenze) e molto altro.

La Cerqua Sacra
http://www.cerquasacra.8m.com/